Tracce sull’io, la pittura di Tobia Ercolino
Prima pubblicazione su www.transfinito.eu
di Lara-Vinca Masini
Ho ritrovato, in questi giorni, una dichiarazione di Vincenzo Agnetti, certamente il più concettuale degli artisti italiani, che, con quella “consapevolezza infinita” che McLuhan attribuiva agli artisti, e che Beuys avrebbe allargato a “tutti gli esseri creativi”, mi sembra riveli in maniera esemplare, con una chiarezza quasi lapalissiana il concetto di “pittura” nel mondo contemporaneo: “Con la prima costruzione del quadro, o perlomeno di una cosa qualsiasi ritenuta tale, con l’io infilato nella materia senza alcun riferimento figurativo, l’inconscio veniva memorizzato nell’oggetto; il pittore insomma disumanizzava a suo modo nel tentativo di cedersi come pura energia” (in “Enrico Castellani pittore”, ed. A. Mauri, Milano 1958).
Cerco di rapportare questa straordinaria intuizione, che solo un artista è capace di cogliere (penso a quell’ “io infilato nella materia”, a “l’inconscio veniva memorizzato nell’oggetto”), a questo lavoro recente di Tobia Ercolino, a questi suoi grandi quadri interamente percorsi da una fitta scrittura, che fanno veramente pensare ad una totale immersione dell’io nell’opera, attraverso il ritmo della propria fisicità, ritmo che non è quello tragico, viscerale, gestuale, di un Pollock, ma si realizza, attraverso, appunto, la propria scrittura, con un gesto che si trasforma in “segno”. Non si tratta, dunque, di una immersione istintuale, ma di un meditato, controllato, progettato riversamento di sé nell’opera. Ma mi ricordo anche che Wittgenstein, rifiutandosi di negare l’esistenza di “processi psichici” o “spirituali” nell’elaborazione del mezzo linguistico, ne parla come di “finzioni grammaticali”, profondamente radicate, peraltro, nella vita, “come lo sono le esperienze oniriche”. Continua a leggere